La Mia Storia
Una giovane coppia desidera tanto un bambino, ma questi tarda ad arrivare. Egli si trova nel cielo
su una nuvoletta e non vuole scendere sulla terra perché lì sta molto bene. Un giorno,però,
Dio lo chiama a se’ e gli dice che è giunto il momento di accontentare quei due sposi.
Trasforma il bambino in un semino e lo pone nella pancia della donna. Ella, quando si accorge che dentro di lei c’è il semino, esulta di gioia e ringrazia Dio per quel dono meraviglioso.
Per nove mesi il semino sta nel seno della mamma e ogni giorno cresce un pochino, finché diventa un bambino in miniatura con le braccine, le gambette, il corpicino, la testina, i piedini e le manine. Egli si sente protetto nella pancia della mamma, per questo se ne sta tranquillo. Alcune volte,però, per ricordare alla mamma la sua presenza tira dei calcetti.
Questo è il suo modo di comunicare con l’esterno. Il papà e la mamma si chiedono a volte :
- Sarà un maschietto o una femminuccia?
La mamma desidererebbe tanto una bambina per avere una compagna con la quale condividere ogni cosa. Il papà, invece, preferirebbe un maschio per giocare con lui a pallone e portarlo ogni domenica allo stadio.
Comunque, entrambi concordano alla fine col dire che sono felicissimi di accogliere il bambino qualsiasi sia il suo sesso. L’importante è che nasca sano. La donna prepara intanto per il suo piccolo uno stupendo corredino : tutine, bavaglini, scarpette, magliette, copertine, lenzuolini, carrozzina, culla. Riempie poi la stanzetta a lui destinata con tanti giocattoli.
Dopo nove mesi il bambino bussa alla pancia della mamma:
- Toc, toc. Voglio uscire da qui! Desidero tanto conoscere il mondo! Uffa! Sono stanco di stare al buio!
Sono ormai diventato grande e qui dentro non posso più muovermi!
Dà calci e spinte e così la mamma capisce che è giunto il momento tanto atteso.
– Come sarà il mio piccolo? Come avrà gli occhi? Sarà pelato o avrà una folta capigliatura?
Ella si chiede.
Il papà, senza perdere tempo, prende subito l’auto ed accompagna la mamma all’ospedale dove l’ostetrica ed il dottore aiutano il bambino a venire alla luce.
- Finalmente vedo il mondo! Ohi! Ohi! La luce mi abbaglia! Voglio dire a tutti che sono arrivato!
Dicendo così, il piccolo emette il primo vagito ue…ue.. ue…
Le infermiere lo fanno bello, facendogli il bagnetto e pettinandogli la sua nera capigliatura, poi lo vestono con una tutina rossa che la mamma gli ha preparato con tanto amore.
La mamma, appena lo vede, se lo stringe al cuore mentre il papà lo guarda estasiato.
Intanto arrivano i parenti e gli amici a conoscerlo. All’improvviso il nostro piccolo si mette a strillare non solo per la confusione che regna nella stanza dell’ospedale, ma perché si sono dimenticati di dargli il latte. La mamma per calmarlo lo attacca al suo seno ed egli beve con avidità.
- Che buono! Questo liquido! E’ saporito e delicato! Pensa il piccino.
Michele (questo è il nome che gli hanno dato i genitori) ha compreso subito una cosa importante: per ottenere tutto quello che vuole basta strillare e piangere.
Il pianto quindi diventa il suo primo linguaggio. Egli piange quando fa la pipì o la pupù,
quando ha dolorini al pancino, quando vuole mangiare, quando non vuole stare più nella culla.
Trascorsi alcuni giorni Michele e la mamma lasciano l’ospedale e vanno a casa.
-Questi do..do… dove mi portano? Pensa il piccolo. Cos’è questo trabiccolo che cammina ?
Appena egli vede la sua casa:
-Che bello sono finalmente arrivato! Non è male. C’è pure un bel giardino dove potrò giocare!
La mamma ed il papà sono raggianti e portano il loro piccolo nella sua stanzetta.
- Che confusione c’è qui dentro! Quanti giochi! Non posso nemmeno respirare. Sono così stanco!
Michele così dicendo si addormenta nelle braccia della mamma. Ella poi lo depone con delicatezza nella bella e comoda culletta. Il piccolo dorme finché non sente un languorino allo stomaco. Egli allora si mette a strillare e subito la mamma accorre e gli dà il latte.
Passa il tempo e Michele cresce ogni giorno di più. Quando egli ha quattro mesi non beve più solo il latte, ma inizia a mangiare delle pappine: entra nello svezzamento.
- Com’è buona questa crema di riso! Il pancotto non è nemmeno tanto male! Che buoni gli omogenizzati! Afferma Michele.
Egli è il principino della casa e ogni suo desiderio viene subito soddisfatto. Tutti lo coccolano, forse un po’ troppo. I nonni poi lo viziano in modo particolare, portandogli un’infinità di giochi e di abitini.
Verso i sei mesi al piccolo spuntano i primi dentini.
- Che dolore! Mi sento impazzire! Cosa succede?
La mamma ed il papà cercano di calmarlo e gli comprano in farmacia un anello duro di plastica per massaggiare le gengive.
Intanto compie un anno e la mamma invita tutti i parenti per festeggiarlo e prepara in suo onore una torta gigante con tanta panna. Da più giorni sia il papà che la mamma gli fanno vedere un dito per fargli capire che tra poco compie un anno.
Gli mostrano poi uno strano oggetto: una candelina e gli dicono di soffiare. Quando arriva il giorno del compleanno la mamma mette la candelina sulla torta e l’accende e tutti i parenti lo invitano a spegnerla.
-Cosa vogliono questi da me? Mi fanno dei segni e soffiano. Io ho paura di avvicinarmi a quella fiammella.
Michele finalmente, dopo tante insistenze dei suoi, spegne con un soffio la candelina e tutti i presenti gli battono le mani come ad un eroe.
-Evviva, evviva! Bravo! Buon compleanno!
Ora egli comincia a muovere i primi passetti e a camminare carponi e spesso cade a terra, facendosi tanti bernoccoli.
-Mamma ho la bua. Urla Michele.
La mamma subito accorre per consolarlo.
Un giorno all’improvviso Michele chiama la mamma e poi anche il papà. I genitori sono al settimo cielo perché il loro bambino ha pronunciato finalmente i loro nomi.
Con il passare del tempo il bimbo cresce di statura e socializza anche con persone estranee al suo nucleo familiare. Sviluppa il suo linguaggio apprendendo parole sempre nuove. All’età di tre anni Michele è ormai un ometto pronto a lasciare i suoi cari ed andare a scuola. Là trova tanti bimbi come lui. I primi giorni sono un po’ particolari perché è difficile staccarsi dalla mamma e Michele, come gli altri bimbi, ogni mattina piange, si attacca alla mamma e non vuole lasciarla andare via. Dopo qualche settimana egli, però, non piange più e sta volentieri a scuola perché può godere della compagnia dei suoi amichetti. E… poi ci sono le maestre che sono affettuose e buone come la mamma.
La scuola è un luogo bello, dice Michele, perché non solo si gioca, ma si apprendono tante cose utili ed interessanti. Che emozione quando egli memorizza la prima poesia e la recita a Natale davanti a tutti i parenti!
La mamma dalla commozione si mette a piangere. Ella è fiera del suo ometto e sa che egli ha bisogno ancora per molto tempo sia delle sue cure e delle sue attenzioni che di quelle del suo papà. Eppure la mamma è già pronta ad accettare che verrà un giorno in cui dovrà lasciare Michele libero di camminare da solo, perché solo sbagliando e sperimentando egli potrà imparare ad affrontare la vita nel migliore dei modi.