Colombina
Tanti e tanti anni fa viveva a Venezia in una misera casetta Nicoletta, una giovane donna, madre di quattro maschietti un po’ vivaci e birichini. Ella per sua disgrazia aveva un marito perdigiorno. Era un vagabondo nato e non amava lavorare. Non riusciva a tenersi un lavoro nemmeno per una settimana e i pochi spiccioli che egli riusciva a guadagnare di tanto in tanto li spendeva tutti per se’ all’osteria, bevendo e giocando con altri brutti ceffi, peggiori di lui. Nicoletta, poverina, aveva tutto il peso della famiglia e tutte le responsabilità sulle sue esili spalle. Ella era costretta, per amore dei quattro figli, ad andare a lavare i panni di tante famiglie benestanti, spaccandosi la schiena dalla mattina alla sera in cambio di poche monete. La vita per lei non era certo rosea. Un giorno la povera donna si accorse con sgomento di aspettare un altro figlio. La disperazione fu grandissima.
– Come farò ora a lavorare ed a sfamare un’altra bocca? pensò la poverina.
Quando, però, in una bellissima mattina di maggio vide per la prima volta la sua bellissima bimba si commosse tanto e se la strinse forte al suo cuore. La piccina sembrava un angioletto con quel suo colorito roseo e quel sorriso dolce stampato sulle labbra. Per mamma Nicoletta un raggio di sole era entrato quel giorno nella sua povera casa. Ella pensò di chiamare quell’angioletto Colombina, con la speranza che portasse fortuna e pace nella sua famiglia. La piccina non ebbe tutte quelle cure e quelle attenzioni che di solito si riservano ai neonati perché la mamma la dovette affidare subito ai fratellini più grandi per riprendere il suo lavoro che le permetteva di sfamare i suoi cuccioli. Colombina con il suo sorriso, le sue moine ed il suo cicaleccio riuscì ad intenerire il papà ed a conquistarne il cuore. Divenuta grandicella ella, un giorno, fece capire al padre che aveva dei doveri verso la famiglia e non poteva lasciare sola la madre ad affrontare tutte le difficoltà, ma doveva darsi da fare e abbandonare quella vita balorda che aveva condotto fino a quel momento. L’uomo allora cercò un lavoro non perché lo desiderasse, ma solo per accontentare la figlioletta. Dopo qualche tempo, però, lo perse, come avveniva di solito. Era più forte di lui. Quella era la sua natura e non c’era niente da fare per cambiarla. Mamma Nicoletta dovette raddoppiare così i suoi sforzi per sopperire a tutte le esigenze familiari che con il passare del tempo aumentavano sempre di più. Finì con l’ammalarsi. Colombina fu mandata allora a servizio da una nobile famiglia veneziana. Ella doveva lavorare tutto il giorno, senza posa e non aveva mai un minuto di pace. La sera Colombina, data la stanchezza, appena metteva il capo sul cuscino si addormentava come un sasso e, spesso sognava. Sognava di essere una dama ricca e potente e di vivere in un grande e sfarzoso palazzo con molti servitori. Appena, però, le tenebre lasciavano il posto alle prime luci dell’alba e la ragazza apriva gli occhi si accorgeva con sommo dispiacere che era stato solo un bellissimo sogno, ma la sua realtà era ben diversa. Dopo alcuni anni Colombina si trasferì a casa di Pantalone, un nobile signore veneziano, un avaraccio matricolato. Ella era costretta a sfacchinare tutto il giorno per avere in cambio gli ossi rimasti della carne e delle molliche di pane che il padrone lasciava cadere sulla tovaglia da tavola. Col trascorrere degli anni Colombina diventò una bellissima ragazza. Al primo impatto ella sembrava una ragazza dolce e ingenua, ma conoscendola più a fondo era ben diversa. Colombina era astuta, determinata, scaltra, bugiarda, pettegola e maliziosa. Si divertiva a prendeva in giro i tanti mosconi che le ronzavano intorno, suscitando la gelosia di Arlecchino che si era innamorato di lei. Colombina aveva sogni di grandezza per cui desiderava concedere la sua mano solo ad un ricco e nobile signore non a dei pezzenti e poveracci come lei, altrimenti avrebbe preferito restare zitella. Ella si divertiva un mondo a sbeffeggiare le persone ed a fare burle.
Colombina era così brava a recitare ed a fingere che un giorno Arlecchino e Pulcinella la invitarono ad unirsi alla loro compagnia teatrale per girare il mondo. Si sarebbero divertiti insieme tantissimo. Colombina ci pensò un poco e poi accettò di buon grado di seguire i due per cercare gloria e fortuna. Iniziò per Colombina un periodo felice e spensierato. In ogni luogo dove la compagnia si fermava a recitare veniva applaudita ed accolta con molti riguardi. Colombina incantava tutti gli spettatori con la sua bellezza, la sua grazia e la sua bravura tanto che la gente per vederla era disposta a fare delle lunghe code e attese anche perché era l’unica donna, in quel tempo, a recitare sul palcoscenico. Infatti, prima che lei si affacciasse sulla scena erano gli uomini che travestiti da donne interpretavano le parti femminili. Colombina era soddisfatta di quel lavoro che amò ogni giorno di più. Certo recitando non si diventava ricchi, ma cosa importava se si godeva della massima libertà e non si serviva più nessun padrone. La libertà è il bene più prezioso che un uomo può possedere nella vita e Colombina lo sapeva benissimo perché era stata una povera servetta al servizio di padroni fino al momento in cui era partita con Pulcinella ed Arlecchino. Ella non aveva mai deciso nulla nella sua vita, ma gli altri avevano preso decisioni al posto suo e nessuno mai le aveva chiesto un parere su qualcosa o su qualcuno o se desiderasse qualcosa di diverso. Inoltre, recitando si poteva sognare e ci si calava nei panni di tanti personaggi. In altre parole si cambiava facilmente identità. Colombina fu ben felice di essere la prima e l’unica donna nella commedia dell’arte e riuscì a tenere testa ai personaggi maschili data la sua furbizia e determinazione. Con il passare del tempo diventò una maschera carnevalesca della nostra tradizione come i suoi compagni d’avventura: Pulcinella ed Arlecchino. Molti la definirono e ancora oggi tanti la considerano la regina del Carnevale.