La Storia di Pantalone
Tanti e tanti anni fa nella bellissima città di Venezia, detta la Serenissima, viveva Abelardo, un ricco mercante con la moglie Lina. Egli poteva essere felice perché non gli mancava nulla, proprio nulla. Possedeva una grande e lussuosa casa, godeva di buona salute e aveva un’attività redditizia che lo portava in giro per il mondo. Il denaro non gli mancava di certo e poteva soddisfare ogni suo pur piccolo desiderio. Ma nella vita, come si sa, non sempre si può avere tutto quello che si vuole. Abelardo infatti non aveva figli e provava nel suo cuore una forte sofferenza. Pensava con rammarico: – A chi lascerò i miei beni? Ho lavorato tanto per nulla.
Un giorno entrò in chiesa e guardando San Pantalone, il patrono di Venezia gli rivolse una preghiera:
- Solo tu, caro Santo, mi puoi aiutare. Ti prego fa che arrivi presto il bambino che sto aspettando da tanto tempo e …, io per ringraziarti gli darò il tuo nome.
- Abelardo era sicuro che la sua richiesta sarebbe stata esaudita perché San Pantalone gli aveva sorriso prima che uscisse dalla chiesa. Chissà se era vero o solo una sua impressione! Il mercante tornò a casa felice e cantando. La moglie gli chiese il motivo di quel suo buonumore. L’uomo le disse di prepararsi perché tra non molto sarebbe diventata mamma. La donna lo guardò con apprensione.
- Cosa è successo a mio marito? Si chiese la donna. E’ forse uscito di senno?
Meraviglie delle meraviglie dopo nove mesi Lina partorì il suo primogenito. Figuratevi la gioia dei due genitori. Grandi furono i festeggiamenti. Abelardo non dimenticò la promessa fatta al santo patrono e chiamò il suo piccino Pantalone. Per ringraziarlo andò in chiesa ad accendere un grande cero in suo onore. Abelardo era un papà permissivo, dal cuore tenero e viziava il suo piccino a dismisura. Ogni suo desiderio era per lui un ordine. Quando poi tornava dai suoi lunghi viaggi egli portava al figlioletto una montagna di regali che acquistava nelle varie città dove si fermava per vendere le sue mercanzie e dove comperava spezie, stoffe di seta, broccati, tappeti e tanti altri prodotti che erano tanto richiesti in patria. Pantalone con i regali scappava subito nella sua stanzetta e apriva i pacchi che li contenevano con impazienza ed emozione. Erano quasi sempre giocattoli costosi, meravigliosi ed originali che difficilmente si vedevano a Venezia.
Fin da piccolo il suo carattere si rivelò. Egli era un bambino poco generoso, infatti non permetteva ai suoi cuginetti ed ai suoi amichetti di giocare con i suoi balocchi. Inutili erano i rimproveri e gli inviti della mamma ad essere altruista, comprensivo e a condividere quello che aveva con loro. Pantalone batteva i piedi ed urlava:
– Basta con queste lagne! I giochini sono miei e guai a chi li tocca. I cuginetti o gli amichetti di turno si mettevano a piangere e si lamentavano:
– Pantalone sei cattivo ed egoista. Se non ci permetti di toccare nemmeno i tuoi giocattoli vuol dire che d’ora in poi non verremo più a casa tua.
Pantalone sentendo quelle parole non faceva una piega. Egli, anzi, diceva loro di andarsene e di non farsi vedere mai più. Quando Pantalone andò a scuola non fece amicizia con nessuno perché era scorbutico, altezzoso e pieno di sé. Se ne stava seduto all’ultimo banco e non dava confidenza a nessuno sentendosi superiore agli altri. Aveva sempre paura che qualche compagno di scuola gli rubasse i colori, le matite o le penne e li guardava con sospetto.
Pantalone non stava mai sereno e pensava le peggiori cose dei suoi compagni. Egli non modificò il suo atteggiamento nemmeno quando diventò adulto. Col passare del tempo divenne un grande spilorcio. Per lui tutti erano ladri e disonesti, per questo bisognava guardarsene. La sua avarizia era nota in tutta Venezia. Rimasto solo dopo la morte dei genitori chiamò a suo servizio Arlecchino e Colombina che dovevano ammazzarsi di lavoro tutto il giorno ed in cambio non ottenevano da lui nemmeno un soldo bucato, ma solo un pezzo di pane duro e ammuffito e qualche ossicino della carne che egli aveva spolpato. Questi due erano scaltri ed imbroglioni e organizzavano burle ai danni del loro padrone e lo raggiravano spesso e volentieri.
Pantalone amava talmente il denaro che ogni sera, prima di coricarsi e dopo avere allontanato i servitori, si chiudeva a chiave nella sua stanza da letto e lo contemplava estasiato, lo accarezzava, lo baciava, lo contava e ricontava. Quello era per lui il momento più bello della giornata. Per la sua tirchieria egli rinunciò a sposarsi perché aveva il timore che una donna potesse dilapidare in un batter d’occhio il suo polposo patrimonio e buttarlo sul lastrico.Egli preferì per amore del denaro vivere in solitudine, senza una propria famiglia. La vita di Pantalone è stata arida e veramente meschina. Il denaro non va posto al centro della propria esistenza e amarlo per se stesso, ma deve essere usato come mezzo per migliorare le proprie condizioni di vita e per aiutare quelli che sono stati meno fortunati di noi e vivono nella difficoltà.